La legge di bilancio del 2017 ha istituito dal 1° gennaio 2017 un contributo economico di 800 euro che può essere richiesto dalla futura mamma una volta compiuto il settimo mese di gravidanza o al momento dell’adozione del minore.
La norma istitutiva non ha previsto altre particolari condizioni, né di carattere reddituale o di bisogno né condizioni relative alla nazionalità della richiedente e, neppure, ha rimandato ad alcun decreto attuativo la definizione dei requisiti.
Ciononostante l’Inps nel diramare le circolari applicative e nel predisporre la procedura telematica ha previsto che il contributo dovesse essere riservato alle sole madri residenti in Italia che fossero:
- cittadine italiane
- cittadine comunitarie
- cittadine non comunitarie in possesso dello status di rifugiato politico e protezione sussidiaria
- cittadine non comunitarie, ma solo se in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo,
- cittadine non comunitarie in possesso di una delle carte di soggiorno per familiari di cittadini UE previste dal Dlgs n. 30/2007.
Rimanevano escluse le cittadine non comunitarie titolari di un ordinario permesso di soggiorno.
L’atteggiamento dell’INPS è stato dichiarato illegittimo dal Tribunale di Milano, perché discriminatorio sul piano del diritto comunitario e contrario al diritto interno.
Con una semplice circolare l’Ente non può sostituirsi al legislatore introducendo requisiti molto più stringenti. Il Giudice ha così ordinato all’Inps di eliminare la condotta discriminatoria attraverso l’estensione del “premio alla nascita” a tutte le future madri regolarmente presenti in Italia che si trovino nelle condizioni di legge.
L’INPS ha interessato i Ministeri vigilanti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri e sta predisponendo i necessari interventi sulle procedure telematiche.
Ricordiamo che presso gli sportelli del Patronato Acli è possibile inoltrare le domanda di “premio alla nascita”.